Antonino Fedele


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Gli Statuti del Comune di Nave del XV e del XVI secolo

Opere proprie

Opere proprie                                                                                    


Antonino Fedele – Caterina Cossandi
Gli Statuti del Comune di Nave del XV e del XVI secolo

Editore: Grafo
Pubblicazione: Brescia, 2004
Descrizione fisica: p.182: cm. 16,5x22,5
ISBN n. 88-7358-631-4

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Presentazione
di Paolo Corsini

Realtà territoriale, esperienza comunitaria e identità civica.


    Non è mia intenzione, né rientra nell'economia di una breve presentazione, sottolineare l'importanza di una fonte come gli Statuti medievali nella storia della comunità di Nave, fonte storiografica di primaria importanza per le vicende di carattere sociale e, più in generale, per lo studio di quella che – per usare una parola moderna – si potrebbe definire gestione del territorio.
    La storia della comunità di Nave e, più in generale di questa parte della valle del Garza – durante la Serenissima Repubblica veneta Nave fu capoluogo di Quadra, comprendente anche i territori da Collebeato ad Urago, da Concesio a Caino – sarebbe infatti incomprensibile senza questa plurisecolare presenza di ‘obbligazioni’ civili che hanno costruito con il tempo una mentalità e un sistema di rapporti assai complessi fra abitanti, autorità locali e territorio.
    Scorrendo le belle pagine curate da Caterina Cossandi e Antonino Fedele, così ricche di suggestioni ed indispensabile quadro di riferimento ed interpretazione degli statuti, inevitabile diviene la riflessione su quanto, nel discorrere di ‘virtù civiche’, esse risultino connesse e si formino – soprattutto in ambito extraurbano come nel caso di Nave – proprio in relazione alle norme ‘civili’ contenute negli Statuti e alle politiche di gestione sociale del territorio, dai divieti agli usi civici, dalle regole di partecipazione alle norme di comportamento.
    Dalla metà del Duecento i Comuni del contado, pur soggetti al dominio territoriale delle autorità cittadine bresciane, godevano di forme di governo relativamente autonome, che si esplicavano nella designazione dei magistrati, nella gestione dei tributi locali, nell'emanazione di Statuti atti a disciplinare sia sul piano civile che su quello penale, le relazioni tra i membri della società locale.
    E proprio nello studio di questo delicato rapporto fra la città, nella sua forma urbis e nel dispiegarsi del suo potere politico-militare, e le comunità di campagna che in qualche misura ‘organizzavano’ la stessa vita cittadina nei flussi commerciali come nella dislocazione di infrastrutture e coltivazioni, gli sviluppi della ricerca ed i paradigmi di storia urbana da alcuni decenni si sono soffermati con particolare attenzione, utilizzando la fonte degli statuti comunali medievali quale validissimo strumento di ‘storia totale’ in cui si intersecano aspetti sociologici, economici, culturali.
    Una fonte che costituisce quindi un’importante sfida per la ricerca storica: per la loro complessa gamma tematica gli Statuti rientrano in quella documentazione della storia sociale in cui le dimensioni basilari dello sviluppo premoderno sono ricostruibili in vere e proprie categorie che interessano il formarsi della nostra contemporaneità.
    Questa edizione degli Statuti comunali di Nave, dopo la parziale pubblicazione avvenuta ad opera di don Paolo Guerrini nel 1940, appare dunque di straordinario interesse, sia nel documentare il rapporto fra la città e le comunità confinanti, sia, più propriamente, per studiare l’articolarsi della comunità locale. Le intelligenti pagine introduttive segnalano i percorsi di questa contiguità, nel rapporto sino ad ora non ancora adeguatamente scandagliato fra le forme di organizzazione comunitaria del mondo extraurbano e i modelli sociali e le consuetudini giuridiche intraurbane, rapporto che si presenta foriero di molteplici spunti per una riflessione sulla storia sociale premoderna. E, prendendo in più stretta considerazione lo sviluppo storico del potere, appare chiaro che il campo di ricerca aperto da queste pagine si collega strettamente con il tema della formazione a delle istituzioni sovracomunali e, in definitiva, dello Stato.
    Per quanto concerne la vita di Nave, la sua quotidianità, le sue diverse modalità di esperienza comunitaria, in questa realtà territoriale cosi esposta e delicata, l’elaborazione di uno statuto rappresenta un evento di enorme importanza, poiché esso registra fedelmente le condizioni amministrative presenti all’atto della sua stesura, condizionandone tutte le vicende successive: sono documenti che, oltre al loro valore formale e giuridico, presentano un alto significato simbolico, nei quali i cittadini vedono riconosciuta, in modo ufficiale, la propria identità civica.
    Gli statuti rivestono un ruolo centrale nella fissazione della gerarchia dei diritti, rivelando immediatamente la stratificazione e l’intersezione delle sfere del diritto nella società medievale – nell’intreccio fra ius commune e dottrina dei giuristi – nonché il ruolo dei privilegi che le autorità rilasciavano, sino alla precisazione dei concetti di pubblico e di privato. Insomma, l’antico statuto comunale non costituisce soltanto la fonte giuridica più significativa per la comprensione della società d’antico regime, ma rappresenta anche – per mezzo millennio – un simbolo privilegiato in cui la comunità locale, si riconosce e comprende d’esistere.
    Gli Statuti non si limitavano a reprimere o prevenire i danni dovuti agli uomini e agli animali, ma prevedevano norme per un vero e proprio governo agricolo, secondo precise indicazioni: una lunga ed accurata serie di disposizioni che regolamentavano la sistemazione di vie, ponti, fonti e corsi d’acqua, ma pure il mantenimento di un ecosistema precario, in cui tutta la comunità doveva essere impiegata a fronteggiare l'avanzare delle macchie, e il bestiame trattenuto, i campi regolarmente coltivati, ecc.
    In questi Statuti comunali del contado, che sono tra le fonti più interessanti per la storia rurale italiana del Basso Medioevo, è sempre tutelata in maniera rigorosa la proprietà dei campi e sono posti limiti severi all'utilizzazione dei boschi, pascoli e incolti, dei quali soltanto una parte spettava alla Comunità rurale nel suo complesso ed era suscettibile di forme di godimento collettivo, disciplinate dalle autorità locali.
    Questa fonte storico-giuridica pone però altri problemi, come giustamente osservano i curatori di queste pagine. La sua stessa forma rivela, per esempio, la distinzione dalla consuetudo orale della forma scritta, né si limita a fissare per iscritto consuetudini preesistenti, bensì istituisce pure norme nuove. In secondo luogo, rivelandosi quale fonte storica, occorre prendere in considerazione alcune problematiche di carattere generale, con l'obiettivo di contestualizzare gli statuti e di aggirare la difficoltà forse principale per lo storico quando ha a che fare con testi normativi, relativa al dilemma se si possa prendere il contenuto della norma quale indicatore di una situazione oggettiva e se si debba invece ipotizzare – dall'esistenza della stessa norma – una realtà totalmente difforme, se non quotidianamente contraria a quella raffigurata.
    Insomma documenti che rivelano assai più di quanto riportano: come comprendere, per esempio, l’efficacia delle norme, quali le strategie utilizzate per assicurare il rispetto dei divieti (multe e pene, progressiva loro interiorizzazione attraverso ripetute letture in pubblico, riprovazione sociale, ecc.)? E, ancora, come si chiedono in definitiva i curatori del volume, qual è il grado di imitatio statutorum, ovvero, nell’epoca in cui gli statuti proliferano, cioè, vengono copiati, modificati, tradotti o trasferiti in altri luoghi, quale la esatta aderenza alla società di Nave rispetto ad altre realtà? Che cosa si può dedurre da tale moto di imitazione rispetto all’efficacia e validità giuridica delle nome e quale la capacità di filtro mediatorio tra Nave e la società circostante?
    Uno spettro di domande che si allarga, a riprova dell’importanza della fonte indagata, alla ricerca degli autori degli statuti: non è affatto detto, infatti, che siano sempre emanazione della volontà autonoma dell'istituzione o del gruppo al quale servono La tecnicità degli scritti dei giuristi di professione e i canali della trasmissione del loro sapere passano spesso proprio attraverso la redazione degli statuti municipali, e quindi è possibile chiedersi cosa i redattori degli statuti di Nave conoscessero delle teorie dei dottori sulla potestas statuendi, interrogativo che riconduce al problema dell’identificazione degli estensori.
    Per gli statuti cittadini, almeno in Italia, si può infatti sostenere che parte degli estensori proveniva dall'ambiente dei giuristi di professione; forse quelli di Nave subirono ‘aiuti’ dai giuristi della città: bisogna prendere atto che risolvere questo interrogativo, per quanto complesso e cavilloso possa sembrare oggi, riveste la sua importanza nella storia intellettuale, soprattutto al fine di analizzare il funzionamento della società bresciana di lontane stagioni.
    Un altro punto riguarda la questione dell’uso degli statuti. Difatti si è ipotizzato che la sopravvivenza di così numerosi manoscritti anche nel territorio bresciano contenenti testi statutari sia dipesa non dalla loro importanza effettiva – pur mettendo in conto il loro valore simbolico –, ma dal fatto che essi venivano usati assai parsimoniosamente, senza pertanto subire grossi deterioramenti, restando di fatto lettera morta.
    Resta tuttavia il fatto che lo statuto medievale costituisce fonte insostituibile nel raffrontare forme e pratiche nella Nave del XV e del XVI secolo, una comunità discesa da un precedente passaggio storico che – altra fortunata possibilità locale – è parzialmente documentato dal patrimonio delle pergamene dell’ex Monastero di S. Pietro di Serle, comprese fra il X ed il XIV secolo.
    La comunità di Nave, redige evidentemente i propri statuti nella piena consapevolezza di una precisa volontà programmatica, nell'intenzione dei governanti, cioè, di influire sulle condizioni esistenti. Il fatto che essa si doti di un testo normativo di carattere statutario non è per niente scontato: costituisce il segno dell’avvenuto passaggio da un medioevo consuetudinario all’era della norma scritta, emblema di una raggiunta modernità.

    Brescia, 14 settembre 2004




N.B. – Su questo lavoro hanno scritto:

ing. Luca Senestrari, sindaco di Nave, nella lettera ‘Al Lettore’ inserita nella pubblicazione: «[…].Merito agli autori, che attraverso un’attenta ricerca documentale ed archivistica forniscono in questo libro una chiara descrizione del panorama istituzionale e della situazione sociale di un’epoca ormai lontana: era una società già organizzata in ruoli e compiti precisi, gli Amministratori locali, sebbene assoggettati alla Repubblica di Venezia e sotto il Governo della Città di Brescia, avevano incarichi importanti e ben definiti, e già allora per gli incarichi pubblici erano richieste, non solo correttezza e affidabilità, ma competenza e imparzialità. […]. Il libro, oltre ad essere un prezioso momento di approfondimento per ricercatori e studiosi di storia locale, è anche un’interessante riscoperta di nomi, parole e luoghi del passato e, in sostanza, una occasione in più per quanti amano e apprezzano approfondire le antiche vicende, di ritornare alle radici del nostro presente».

«Bresciaoggi» del 14 gennaio 2005: «[…] Alla vernice bibliografica, che prenderà il via [il prossimo 21 gennaio] alle 20,30 e che sarà condotta dal vicesindaco (e assessore alla cultura) di Nave, Tiziano Bertoli, parteciperanno i curatori dell’opera, che saranno affiancati dal sindaco di Brescia, dall’assessore alla cultura della Comunità Montana della Valtrompia, dr. Giacomo Pagani, e il primo cittadino di Nave, Luca Senestrari».

«Giornale di Brescia» del 23 gennaio 2005: «[…] Gli autori della ricerca, prof. Antonino Fedele e dott. Caterina Cossandi, hanno sviscerato gli argomenti della pubblicazione. Il primo ha presentato con minuziosa cura gli aspetti storici, tecnici e giuridici che si intrecciano nelle pagine del volume che, fra l’altro, riporta le norme scritte in lingua latina (XV secolo) e volgare (XVI secolo) con traduzione a fronte in lingua italiana corrente; la seconda ha segnalato alcune delle tante notizie curiose contenute nella pubblicazione e riferite ad aspetti lavorativi, religiosi e civili. […] L’Amministrazione Comunale di Nave ha commissionato un migliaio di copie del volume, il ricavato della cui vendita, come ha dichiarato l’assessore Bertoli, andrà a favore del recupero dell’antica Pieve della Mitria».








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