Antonino Fedele


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Gli Statuti criminali della Comunità della Riviera del lago di Garda del 1386

Opere proprie

Opere proprie                                                                                    


Antonino Fedele,
Gli Statuti Criminali della Comunità della Riviera del Garda (1386)

Editrice: Grafo.
Pubblicazione: Brescia, 1994.
Descrizione fisica: p. 256, cm.16x21
ISBN n. 88-7385-227-0

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Presentazione di Mino Martinazzoli

La vitalità della memoria.


    
La mole e l’impegno di questo lavoro sono evidenti. Non c’è bisogno di enfasi per dedurre la fatica compiuta dall’Autore e qui descritta in numero ragguardevole di pagine tutte da leggere.
    Antonino Fedele non limitato a proporre un nuovo catalogo degli Statuti criminali della Comunità della Riviera del lago di Garda. Sull’originale nuovamente trascritto ha curato la traduzione, chiara e pertinente. Poi, sul materiale così reso accessibile, ha costruito un sagace lavoro interpretativo, che costituisce l’oggetto dell’analitica ed esauriente introduzione. Soprattutto qui è il contributo, amorevole, che egli dedica ad una terra alla cui bellezza intende restituire storia e memoria.
    Operazioni di microstoria, come si sa, sono largamente praticate in questi tempi, forse anche per una difficoltà o per un dubbio che si va insinuando, nonché sulla verità, sulla possibilità stesa della grande storia.
    Sappiamo, peraltro, che la storiografia moderna ci convince a credere nell’utilità di queste ricerche, magari artigianali e circoscritte, ma preziose, proprio come scavo propedeutico per i tentativi più complessi e più organici.
    Ma, tralasciando questa funzione strumentale, penso che esplorazioni come questa meriterebbero lettori interessati tra gli studiosi e soprattutto tra quanti oggi abitano la terra e gli ambienti evocati dalla ricerca. Sono loro i discendenti di quegli avi lontani, sono le comunità di oggi quelle cui è demandato, per tramiti lunghi e profondi, un lascito cospicuo di cultura, di costumi, di regole sociali, di norme collettive.
    Viviamo in un’epoca che – di fronte alle nuove lunghezze della convivenza umana – sente il bisogno di riscoprire il sentimento, il valore, l’attitudine dei piccoli gruppi sociali e civili C’è questa tensione, questa polarità tra la grande dimensione trans nazionale e il perimetro locale. Se non si propone in termini antagonistici, se non si ripiega in un cortocircuito, questa riscoperta del locale è tutt’altro che incoerente rispetto alla difficile modernità.
    Infatti, la conoscenza e la coscienza della propria storia e della propria terra alimenta la curiosità dell’”altro”, non chiude ma apre ad una comprensione ulteriore e impedisce, al contempo, quello sradicamento che, non improbabilmente, è il rischio più alto: un’apolidia dissipatrice dei talenti e delle vocazioni originali che ciascun popolo può offrire all’arricchimento della civiltà umana, alla crescita della storia umana.
    Quanto ho detto prima sulla enorme difficoltà di scrivere in modo veritiero la storia non vuol dire, dunque, negarne il senso e il sentimento; al contrario, significa esortare a viverla, a capire che la storia altro non è che la mappa della memoria umana, che, senza memoria, non si spiega il presente né si decifra il futuro e, dunque, che vite senza storia sono vite senza cammino e senza compenso.
    La questione mi sembra certamente attuale se, come accade, i moventi al ritrovarsi, al rassicurarsi in un vincolo con la terra vicine e conosciuta, in un’esperienza non mediata, tendono a deprimersi per una rivendicazione di separatezza, di infondata diversità, cos’ che il nostro legame con la terra che abitiamo diventa inautentico, ideologico, non si legittima per la conoscenza della sua verità.
    Ecco allora, tornando al lavoro di Antonino Fedele, il merito del suo libro: quello di offrire ai cittadini della comunità indagata, le ragioni e i limiti della esperienza storica che sono chiamati a continuare e a prolungare.
    La ricerca condensata in questo libro si muove intorno a un tempo circoscritto e si colloca su un terreno specifico: tre decenni della seconda metà del XIV secolo e la sintesi del diritto penale e processuale vigente, all’epoca, nella Comunità della Riviera di Salò. La materia cristallizzata negli Statuti non è, naturalmente, il frutto di una nascita istantanea ma il prodotto giuridico di un’epoca e di un processo storico complesso che l’Autore, sia pure sinteticamente, tratteggia e descrive n modo che risulta percepibile quanto di questo corpus normativo appartenga alla creatività e quanto, invece, derivi dalla cultura giuridica dell’epoca in questa parte d’Italia.
    Chi avesse l’idea di considerare queste pagine come il frutto di una curiosità erudita, provi a sfogliarle e scoprirà facilmente che le cose non stanno così. Tanto per dire, risulterà agevole rintracciare qui alcuni spunti di “diritto premiale” legati alla confessione del colpevole (non inventano nulla i nostri giorni controversi). O, per altro aspetto, risulterà interessante verificare le complesse relazioni modellati negli Statuti tra processo accusatorio e processo inquisitorio (altro luogo nevralgico dell’attualissima disputa processualistica). Ancora: La netta distinzione tra delitti pubblici e delitti privati che si ritrova, naturalmente con ben altra complessità, nelle legislazioni moderne con riferimento ad una sofisticata tipologia degli interessi in gioco.
    Sono esempi scelti a caso per dire di un edificio giuridico tutt’altro che rudimentale e, invece, intenso di echi romanistici. Del resto, il rimando alle consuetudini e al diritto comune come clausola di chiusura e regola interpretativa, colloca l’impianto degli Statuti ben dentro l’evoluzione storica di questa branca decisiva del diritto.
    Naturalmente, l’apparato sanzionatorio dichiara la sua storicità. Le pene sono taglienti. Quasi sconosciuta la detenzione, per i reati meno gravi contro il patrimonio si ricorre alla pena pecuniaria generalmente moltiplicata con riferimento al valore della cosa oggetto del reato. Per i reati più gravi di regola è prevista la pena di morte o quella della mutilazione. Se si aggiunge l’elemento soggettivo – vale a dire l’atteggiarsi della coscienza e della volontà del soggetto rispetto alla condotta delittuosa – ha peso scarsissimo nella determinazione della pena in concreto, occorre riconoscere la durezza di questo sistema, peraltro coerente al sentire comune del tempo. Istinto retributivo e difesa sociale sono la radice ideologica di questo diritto penale. Ma ciò che va sottolineato, guardando alla individuazione delle singole figure di reato e alle sanzioni per ciascuna stabilite, è la consistenza di un legame tutto concreto, oggettivo, tra norma e vita. Senza chiaroscuri, questo sistema penale descrive il risvolto negativo dell’ordinata vita civile. Il diritto e il rovescio sono qui separati con nettezza, senza sconfinamenti, senza zone grigie, senza titubanze. Così, la tutela dell’avere, della proprietà – quella contadina dei singoli e quella pubblica della comunità – campeggia al certo di questo reticolo normativo. Non è per caso che la protezione dei confini e delle coltivazioni ottiene una sanzione molto elevata allo stesso modo che sono inesorabili le pene per chi attenta, violentemente, alla pace sociale. Erano tempi di ferro (ma non lo sono tutti?) e il diritto li dichiarava, tuttavia non in modo artificioso, ma per una ragionevolezza interna, per un rapporto sentito come vero tra il delitto e il castigo. Che è poi, in ogni stagione umana, la prova e l’ambizione della legge, che rischia la sua autorevolezza, la sua capacità di persuasione quando assomiglia più all’arbitrio di una maggioranza che al sentimento di un popolo.
    Ci saranno ancora secoli, dopo gli Statuti qui commentati, di rivolgimenti storici, di sconquassi sociali, di evoluzioni culturali. E il diritto, secondo la sua attitudine plastica, evolverà via via, adattandosi ad ordinare il mutamento scomposto e violento della realtà storica e della condizione umana.
    Gli Statuti criminali della Comunità della Riviera di Salò conoscono ancora, pur regolandolo, lo strumento processuale della tortura. Durerà a lungo questa triste epoca se ne potranno scrivere Verri e Manzoni riferendosi al processo seicentesco degli untori della peste milanese. E c’è da chiedersi quali altre forme di tortura siano praticate nella nostra modernità civile, sottili e insidiose quanto era truci e sanguinolente quelle antiche, per concludere – manzonianamente, appunto – che i processi della ragione non ci mettono al riparo da una radice di malignità che sta nell’ombra della natura umana e che sembra immutabile, irrimediabile, pur sotto la luce abbagliante del progresso.
    Per quali motivazioni si è impegnato Antonino Fedele? Quali occasioni o quali incontri lo hanno persuaso a un lavoro che non mi pare facile o leggero? A queste domande non tocca a me rispondere. Quello che so è di un risultato umilmente raggiungo. Uno spaccato di storia locale si libera dalle scorie del tempo e rivive in grazia di una esplorazione meritoria. Così, e sia pure da un punto di vista parziale, si offrono ragione ed alimento alla scoperta delle radici e la memoria, riscattata dai sedimenti del passato, può farsi lievito del presente. Occorre, a questo fine, saper coltivare una passione che non sia futile. Questa passione ha certamente animato Antonino Fedele nella sua generosa impresa.

Brescia, 13 giugno 1984



N.B. – Su questo lavoro hanno scritto:


«Bresciaoggi» del 19 ottobre 1994: «Sabato 21 ottobre alle ore 16, presso la sala consiliare del municipio di Salò, verrà presentato il libro a cura di Antonino Fedele Gli statuti criminali della Comunità della Riviera del lago di Garda (1386) edito dalla Grafo in collaborazione con il Comune di Salò e con il patrocinio dell’Ateneo. Alla presentazione parteciperanno il curatore del libro, Antonino Fedele, con Antonio Masetti-Zannini (dell’Università Cattolica del S. Cuore) e Mario Grazioli (dell’Università degli Studi di Trento). Seguirà, alle 17, una tavola rotonda su ‘La gogna e la spugna’, le idee e le forme della giustizia: un confronto, con Mino Martinazzoli, senatore e avvocato, Emanuele Severino, ordinario di filosofia teoretica presso l’Università degli Studi ‘Cà Foscari di Venezia, e Giancarlo Zappa, presidente del Tribunale della libertà di Brescia, moderatore Giuseppe Mongiello, sindaco di Salò».


Giuliano Fusi, dirigente scolastico, in Tra’ la gogna e la spugna’ apparso sul «Giornale di Brescia» del 23 ottobre 1994: «La presentazione di ‘Gli Statuti criminali della Comunità della Riviera del Garda (1386) di Antonino Fedele, edito dalla Grafo edizioni, avvenuta ieri presso il palazzo municipale di Salò, per iniziativa dell’Amministrazione civica che con il patrocinio dell’Ateneo di Salò, oltre ad avere il merito, come ha sottolineato l’Autore, di sottrarre a sei secoli di penombra un testo preziosissimo di cultura giudiziaria, è stata l’occasione per stimolare un dibattito sulla situazione del nostro tempo con una tavola rotonda dal titolo stimolante ‘La gogna e la spugna’ ad opera di esperti di punta del mondo culturale come l’avvocato Mino Martinazzoli, il filosofo Emanuele Severino ed il giudice


Giancarlo Zappa, moderatore il prof. Giuseppe Mongiello, sindaco di Salò. [Alla cerimonia, oltre ad Antonino Fedele, curatore del volume, hanno partecipato con il loro interessante contributo anche mons. Antonio Masetti-Zannini, docente di paleografia e diplomatica presso l’Università Cattolica del S. Cuore, ed il prof. Mauro Grazioli, ricercatore presso l’Università degli Studi di Trento]».


prof. Francesco De Leonardis, ordinario di materie letterarie nelle scuole secondarie di secondo grado, in «Bresciaoggi» del 18 novembre 1994: «[…] Agli Statuti Criminali gardesani del 1386 ha dedicato un importante studio Antonino Fedele […] il quale, calabrese di origine, vive e opera a Brescia da quarant’anni, occupandosi di attività diverse; ha pubblicato articoli e libri nei quali ha affrontato tematiche della società civile e del diritto; ora il suo interesse s’è rivolto ad una ricerca di microstoria, per esaminare gli aspetti del diritto penale e processuale vigenti nella seconda metà del XIV secolo nella Comunità della Riviera di Salò […]».


prof. Luigi Amedeo Biglione di Viarigi, presidente della classe di lettere dell’Ateneo di Brescia, in «Giornale di Brescia» dell’8 dicembre 1994: «[…] Per l’illuminante ricostruzione delle vicende storiche e per l’acuta indagine sociogiuridica, lo studio di Antonino Fedele costituisce una preziosa testimonianza sulla vita e sulla civiltà di un tessuto comunitario che ha interessato per secoli una vasta e assai significativa area di territorio bresciano».


prof. Matteo Perrini, presidente della C.C.D.C. (Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura) in «Giornale di Brescia» del 21 luglio 1995: «[…] Il volume riproduce fedelmente i testi originari latini e la traduzione a fronte del Fedele, un letterato nutrito di solidi studi giuridici. Nel denso saggio introduttivo il Fedele mostra come in tempi calamitosi, pur non contestando, né avrebbe potuto farlo, il regime signorile del duca Gian Galeazzo Visconti di Milano, la comunità [della Riviera del lago di Garda] riuscisse a salvaguardare la sua autonomia, anche dalla vicina Brescia, dandosi una propria autonomia amministrativa e giudiziaria. […] Ci sono ben altri tempi e spunti di riflessione in questo lavoro impegnativo di ‘microstoria’ che offre uno spaccato vivido, dai contorni in forte rilievo, di una società che cerca la sua ordinata convivenza e la difesa dei suoi diritti in un insieme di tradizioni e di procedure ben congegnate […]».












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