Antonino Fedele


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Realtà scolastica ed esigenze professionali

Opere proprie

    REALTA’ SCOLASTICA ED ESIGENZE PROFESSONALI      
    di Antonino Fedele
    (apparso su «Il dialogo», numero speciale del 4 aprile 1987).

    Che la società italiana negli ultimi decenni abbia subito un processo di trasformazione tale da pretendere un ripensamento organico di certe strutture portanti dell’intera vita di relazione è un dato assiomatico la cui evidenza è attestata soprattutto dal profondo senso di smarrimento e di disorientamento che spesso pervade l’animo delle giovani generazioni le quali, pertanto, non esitano a denunciare con tutti i mezzi a disposizione il loro disagio che a questo punto non può non essere attribuito allo scollamento esistente tra il mondo legale di cui nessuno si è fatto carico di far loro conoscere le basi istituzionali e il mondo reale con cui purtroppo essi quotidianamente sono costretti a fare i conti.
    A prescindere da alcuni settori indubbiamente altrettanto importanti per la vita dello Stato, ove si consideri che i giovani passano gli anni della loro fanciullezza e della loro adolescenza sui banchi di scuola e che essi, nel tempo stesso, costituiscono l’ossatura della società del prossimo domani, risulterà evidente come proprio quello della scuola sia il campo sul quale bisognerebbe concentrare con priorità assoluta tutta l’attenzione e tutti gli sforzi se non si vuole costruire sulla sabbia un mastodontico castello soltanto apparentemente inespugnabile. Ma se il varco esistente tra la scuola e la vita oggi si rivela essere più che mai profondo e talvolta financo incolmabile, ciò significa che, mentre il mondo esterno, grazie alle mirabili conquiste della scienza e della tecnica, ha raggiunto traguardi che un tempo sembravano impensabili, la Scuola è rimasta ancorata a un modello di società ormai superato, né, d’altra parte, l’attuale classe politica purtroppo sembra dimostrare un minimo di sensibilità e di disponibilità ad assolvere con il dovuto impegno al compito che le è proprio, cioè di esaminare globalmente, e non per stralci, tutta la questione e dar luogo in sede legislativa ad un’adeguata ristrutturazione dell’intero ordinamento scolastico.
    E’ vero che l’uomo è l’animale che dispone della maggior quantità di risorse per adattarsi alle varie situazioni che la vita gli presenta, ma, ahimè, poiché dispone anche della ragione, perché non vuole rendersi conto che il prezzo che viene richiesto per tale adattamento spesso è artificiosamente fin troppo elevato?
    Poiché il compito primario dei giovani è di attendere alla propria formazione, bisogna garantir loro un valido strumento di crescita umana e di partecipazione consapevole sia come singoli che come membri attivi delle formazioni sociali e politiche ove essi, naturalmente o elettivamente, si ritrovano a svolgere la loro personalità. Ma non si può negare che la sede naturale per il conseguimento di tale formazione sul piano umano e professionale debba essere proprio la scuola e che, in una società organizzata sulla base dei principi democratici, a farsi garante delle condizioni necessarie perché ciò sia reso possibile debba essere a sua volta lo Stato. Esso, infatti, indipendentemente dal tipo di gestione che di volta in volta, a torto o a ragione, avrà ritenuto opportuno conferire all’attività scolastica in relazione alle esigenze dei vari momenti storici, per quanto concerne i programmi di studio non può esimersi dal fornire le dovute indicazioni contenutistiche senza lasciare, come sta accadendo da un quarantennio a questa parte, troppo spazio alla libera iniziativa delle singole istituzioni scolastiche e dei singoli docenti, non tutti, peraltro, istituzionalmente preparati a tale particolare ma fondamentale necessità.
    Certamente, prima ancora che della gestione della Scuola, non è chi non ravvisi la necessità di una ridefinizione dei programmi di studio e di una revisione degli strumenti sia di verifica che di valutazione. Ma siccome ciò presuppone la massima chiarezza di vedute sulle finalità ultime da perseguire, e, quindi, sulla prefigurazione del modello di società del prossimo domani, la Scuola medesima, in attesa della relativa determinazione che ormai perdura da qualche generazione, è stata costretta a operare sulla base di una gestione rinnovata soltanto in parte e di programmi non più in linea con i tempi e, ancor peggio, a realizzare iniziative di carattere didattico talvolta anche improvvisate con il rischio che, se ritenute peregrine, fossero sconfessate dalle autorità preposte alla vigilanza o che, se ritenute di una certa validità, al più venissero registrate come episodi isolati senz’altro degni di ogni lode ma avulsi dal contesto generale e, quindi, destinati a sperdersi nel gran mare della confusione dominante caratterizzata, appunto, dalla presenza di alcune avanguardie da una parte di certo massimalismo dogmatico e dall’altra di certo scetticismo perniciosamente qualunquistico ampiamente diffuso a tutti i livelli.
    Forse la decisione che si è inteso adottare è stata proprio quella di non decidere alcunché in modo da far sì che le indicazioni tanto attese pervenissero dalla stessa società che, invece, ne dovrebbe essere la destinataria? Da parte mia non voglio crederlo perché in tal caso vorrebbe proprio dire che si manca della sensibilità necessaria per operare scelte che indubbiamente richiedono fermezza, determinazione ed alto senso di responsabilità ma che potrebbero costituire svolte di segno positivo di tale portata che la storia non potrebbe non registrare.
    Ma intanto il tempo passa, le generazioni si succedono, il mondo cambia, la Scuola rimane ferma, la discrasia diventa più profonda ed il malessere cresce a dismisura. Quanti sono i posti di lavoro che potrebbero essere ricoperti se esistesse il personale adeguatamente preparato? Quanti sono coloro che sono costretti a rifiutare un posto di lavoro perché inadeguato alla propria preparazione che la stessa Scuola ha contribuito a fare apparire illusoriamente adeguata e che adeguata non è? E poi ci si limita a stracciarsi le vesti perché la disoccupazione giovanile aumenta con ritmi vertiginosi, ma mai che si sia seriamente pensato di preparare adeguatamente i giovani ad assumere con disinvoltura il loro ruolo nella vita produttiva. Non basta certo parcheggiarli per altri due anni nella scuola dell’obbligo per risolvere il problema della disoccupazione degli insegnanti, traguardo anch’esso sacrosanto, il cui perseguimento, però, lascia ancora insoluto il problema di fondo che, invece, sta a monte.
    Il giovane che esce dalla scuola dovrebbe disporre immediatamente di un bagaglio culturale e soprattutto professionale tale da essere sufficiente un brevissimo periodo di contatto con il mondo produttivo per potersi inserire con adeguatezza e trarne la gratificazione di cui è meritevole e che, di conseguenza, gli fa amare il lavoro intrapreso. Invece, spesso è costretto a impiegare moltissimi anni prima di trovare un lavoro che lo gratifichi, anni in cui non tardano ad affollarsi davanti agli occhi i pericolosi miraggi dei guadagni facili mentre egli deve sapersi destreggiar con la tenacia di cui non sempre dispone per acquisire quella preparazione che la Scuola a suo tempo non gli ha saputo dare.
    Non è la prima volta che specialmente i consulenti del lavoro nel normale esercizio della loro professione si trovano a dover registrare che, mentre moltissime imprese da loro assistite dispongono di capacità occupazionali talvolta anche notevoli, le caratteristiche delle relative domande di lavoro sono talmente vaghe da indurre a soprassedere all’assunzione. Infatti, si tratta di sbocchi lavorativi che pochi conoscono, ma cui pochissimi sono in gado di accedere data la carenza della loro preparazione: non si tratta, beninteso, di precise specializzazioni difficilmente convertibili in caso di necessità, ma del possesso di una preparazione generale non approssimativa né tantomeno episodica ma completa, aperta a tutte le possibilità, fatta soprattutto di senso del dovere e di serietà d’impegno, e non di pressappochismo improduttivo piuttosto incline alla pretenziosità che non ad una seria impostazione del rapporto di lavoro che si intende porre in essere.
    Questo è avvertito in tutti i campi lavorativi ma soprattutto nell’ambito delle libere professioni il cui esercizio a sua volta presuppone una mentalità e una preparazione tutta da acquisire sin dai banchi di scuola dove, tra l’altro, il giovane deve poter contare su seri strumenti di orientamento che tengano conto di un piano di programma a media se non a lunga scadenza; e il legislatore deve impegnarsi a fondo in tal senso perché altrimenti è costretto a rincorrere le vicende generali con assurdi provvedimenti-tampone i quali, mentre da una parte non risolvono per nulla i problemi appunto perché non li affrontano in via radicale, dall’altra ne accentuano vistosamente il groviglio finendo per mettere ulteriormente a dura prova l’intelligenza stessa oltre che la buona volontà dei vari operatori molti dei quali, a dire il vero, spesso hanno la sensazione di essere impiegati del ben noto ‘Ufficio Complicazioni Affari Semplici’ sempre pronto a ostentare tutta la perfezione della sua funzionalità ma che in fatto di produttività non può che offrire un bilancio fin troppo amaro.


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