Antonino Fedele


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Novant’anni

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Attilio De Giuli,
Novant’anni

Editore: Vannini
Pubblicazione: Brescia, 2008
Descrizione fisica: p. 262.; cm. 17x22.

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Presentazione
di Antonino Fedele

La vitalità della verità poetica.



    Nonostante ormai siano trascorsi oltre duemila anni, purtroppo capita ancora che ci si continui a chiedere cosa sia la verità. Tutti sanno, però, che a suo tempo Gesù di Nazareth di proposito non volle dare una risposta diretta né completa all’analoga domanda rivoltagli da Ponzio Pilato: Quid est veritas? (Cos’è la verità?). Anagrammando gli stessi termini con cui fu posta quella domanda scaturisce la risposta esatta: Est vir qui adest! (E’ l’uomo che ti sta di fronte!). Infatti, non è necessario pretendere di sapere preventivamente cosa sia la Verità giacché, se il vero motivo della domanda fosse soltanto questo, significherebbe doverla cercare e, a furia di cercarla per ogni dove, si finirebbe per non trovarla mai.
    Così come si può evincere dallo storico interrogatorio che, nel pieno rispetto delle norme procedurali, quel procuratore romano fece a Gesù, la Verità, almeno in parte, è molto più vicina di quanto si possa immaginare, appunto perché essa è scritta indelebilmente nel cuore di ciascuno di noi e, quindi, non è necessario cercarla lontano. Anche se divisibile in più parti, essa è sempre una ed una sola; perciò, se ciascun uomo cercasse di sommare quella parte che c’è in sé a quella che, a sua volta, è scritta nel cuore dei suoi simili, l’umanità sarebbe in grado di scoprire ciò che unisce gli esseri umani senza badare a ciò che eventualmente li divide, cosicché, sulle ali della Verità così ricomposta, sarebbe in grado di spiccare il volo e di capire, una volta per tutte, che i beni di questo mondo, che tanto si affanna di conquistare, non sono il vero Bene, perché, nella migliore delle ipotesi, essi assolvono soltanto ad una funzione meramente strumentale.
    Pertanto, checché se ne voglia pensare, bisogna rendersi conto che non si può fare a meno di prendere atto che è proprio questo fondamentale concetto che fa da spartiacque tra il materiale e lo spirituale, tra il transeunte e l’eterno, tra il contingente e l’assoluto, tra l’umano e il divino. E’ proprio sulla base di simile convincimento che l’uomo può accettare con tutta serenità la propria condizione e spiegarsi come attraverso l’arte in genere, e particolarmente attraverso la poesia, egli possa riuscire, senza infingimenti, ad esprimere autenticamente ed efficacemente tutto se stesso e parlare direttamente ai cuori dei suoi simili, senza correre il rischio di pericolosi fraintendimenti o di fatali impaludamenti tra le sabbie mobili della precarietà della sua dimensione terrena.
    E allora perché non spiccare il volo verso l’alto, verso la libertà che libera, anziché precipitare vertiginosamente verso il baratro che inghiotte e del quale, tra l’altro, non è dato conoscere il fondo? Sarebbe davvero deludente pretendere di addurre come motivazione il fatto che sia molto più agevole scendere anziché salire!
    Novant’anni è il significativo titolo di questa nuova raccolta di liriche e di versi talmente ricca di risonanze etiche e civili che ritengo meriti tutta l’attenzione da parte dei cortesi lettori e che, pertanto, qui mi permetto di presentare nella fiduciosa presunzione di far cosa utile oltre che gradita.
    Tali composizioni poetiche, tutte acroniche, raccolte dallo stesso Autore in occasione del compimento del suo novantesimo compleanno, furono realizzate in epoche diverse, in relazione agli spunti che nel corso degli anni gliene fornirono l’ispirazione, e, ovviamente, senza alcuna ambizione letteraria dichiarata. Ma, a differenza delle raccolte pubblicate precedentemente, a posteriori si può ben dire che questa rappresenta un vero e proprio corpus artistico dal quale, nonostante essa affondi le prime radici in un ambito che soltanto in apparenza è di carattere esclusivamente esistenziale, anche il sogno riesce ad affiorare ed attingere quella verità più profonda del vero che è destinata a toccare le coscienze diciascun essere umano. Forse il verbo greco “ποιεĩν”, da cui deriva il termine “poesia”, non significa, appunto, “fare”, “operare”, “realizzare”, naturalmente attraverso la stupenda facoltà dell’”invenzione” di cui soltanto all’uomo, per sua grande fortuna, è dato di disporre?
    Ebbene, chiunque disponga di un minimo di sensibilità, pertanto, non dovrebbe disdegnare di accostarsi, con animo scevro da pregiudizi, a queste singolari “realizzazioni”, piuttosto originali anche dal punto di vista stilistico, ma dovrebbe saperne cogliere appieno i contenuti essenziali di cui essi sono portatori.
    Peraltro, in tempi come i nostri in cui sembrerebbe che i veri valori della vita abbiano perduto la loro identità ed in cui le giovani generazioni sembrano provenire da ben altro pianeta e presentarsi ai nostri occhi quali pionieri di una “civiltà” che per molti versi sembrerebbe non doverci appartenere, i novant’anni di vita di un uomo che ha in sé tutti i caratteri del poeta autentico evidentemente non possono non suscitare un interesse che va ben al di là della semplice curiosità, giacché, nella fattispecie, essi vanno a coincidere perfettamente con l’altrettanta esperienza da lui vissuta in prima persona e che, per nostra fortuna, egli non solo non vuole trattenere nel chiuso della propria intimità, ma è ben lieto di mettere a disposizione di quanti tra i suoi simili, su alcune tematiche di rilevanza fondamentale, hanno con lui un comune sentire.
    Però, non è forse vero che l’uomo costituisce quell’unicum irripetibile di cui la specie cui egli appartiene tuttora sembra incapace di cogliere le connotazioni autentiche? Essere responsabili della propria esistenza e dovere provvedere al soddisfacimento dei suoi imprescindibili bisogni materiali destreggiandosi, nel miglior modo possibile, tra le vicende non sempre accettabili della quotidianità non significa, però, abdicare al primato dello spirito sul corpo e su tutte le vicende, talvolta anche perverse, di tale quotidianità al punto da farsene travolgere. Anzi, molto spesso capita che laddove lo spirito, ancorandosi ad alcuni valori fondamentali per cui vale la pena di vivere, riesce ad evitare coraggiosamente la tentazione al cedimento e ad affermare il proprio primato su tutto quanto lo circonda, seppure ciò generalmente contrasti con certa filosofia di vita che non è certo foriera della salvezza che conta.
    Con la ripartizione delle liriche nelle varie sezioni in cui ci vengono offerte (da ciò il sottotitolo di Esalogia poetica che appare nel frontespizio), l’Autore volle farci sentire i palpiti del proprio cuore sottolineando l’importanza che davanti al tribunale della propria coscienza nel corso della sua vita rivestirono quei valori cui egli intese ispirare la propria condotta ma che, ripeto, certa filosofia, dimentica della pagina evangelica relativa alla lapidazione della prostituta (che la nella tradizione popolare viene confusa con Maria di Magdala), gridando allo scandalo e forse anche alla pazzia, ancora una volta sarebbe, invece, pronta a condannare senza possibilità d’appello.
    Per un poeta, essere costretto a vivere la propria condizione terrena scontando certe vicende della vita soltanto sulla propria pelle non significa affatto aderire alla filosofia che generalmente le suole sottendere, così come, contrariamente a quanto, purtroppo, si suole ritenere, questo non significa affatto che ci sia chi possa sentirsi autorizzato ad affermare impunemente che i poeti sono tutti dei pazzi. Essi, cavalcando gli ideali, piuttosto, seppero sempre guidare gli uomini verso quei traguardi per i quali talvolta vale la pena forse anche di morire pur di non rinunciare alla dignità della propria umanità: semmai è in tale evenienza che, più correttamente, bisognerebbe parlare di vera e propria alienazione.
    Tra la terra da cui tutti proveniamo ed il cielo cui tutti, anche i non credenti, anelano, Attilio De Giuli, interpretando adeguatamente le leggi che governano la grandiosa architettura della vera salvezza, con queste liriche seppe costruire un ponte dalle fondamenta ben solide: sta a ciascuno di noi prendere il coraggio a due mani e attraversarlo senza ripensamenti, ma tenendo lo sguardo costantemente puntato sull’altra sponda.
    Pertanto, è ovvio che, se si vuole tentare di cogliere in qualche modo gli assunti focali del suo variegato e apparentemente disorganico, ma pur coerente discorso poetico, non si può non tenere conto almeno di alcuni dati biografici sul suo conto, e soprattutto sulla storia recente della sua famiglia dalla quale egli discende, cui, quindi, si rimanda ai brevi cenni che all’uopo si riportano qui di seguito, giacché, come molto spesso e non a caso capita, tali elementi stanno alla base della sua autentica ispirazione poetica.
    Quindi, è anche alla luce delle considerazioni sin qui fatte che, con tutta la riconoscenza ed il rispetto dovuti alla voce accorata di un fratello secondo lo spirito stesso della Premessa dedicatoria alla sua raccolta Ottant’anni, ed a prescindere dalla valenza dei suoi innegabili meriti personali, bisogna leggere i versi contenuti nel presente volume i quali, senz’altra scorta o raccomandazione di sorta, oltre la schiettezza e l’autenticità che li caratterizzano, qui vengono consegnati all’intelligenza e soprattutto alla sensibilità dei cortesi lettori.

    Brescia, dicembre 2006







N.B. - Su tale lavoro hanno scritto:


prof. Pietro Bisinella, sindaco di Leno e docente presso l’Università degli Studi di Brescia, nella lettera ‘Ai lettori’ del giugno 2007, poi inserita nella pubblicazione: «[…] E non è poca cosa che, quasi a volere letteralmente smentire l’assioma biblico Nemo propheta in patria, questa è la voce di un ‘giovane’ ultranovantenne che, dopo le tante amarezze che la vita gli ha riservato, ancora in sé trova la forza di amare e coltivare la poesia attraverso la quale, quasi scorrendo sapientemente le dita sulle corde tese di un liuto, riesce a ridestare i sentimenti profondi soltanto assopiti ma pur presenti nel cuore di ogni uomo e farli vibrare traendo note dolcissime che richiamano efficacemente alla vita che davvero vale la pena di vivere. […]».


Rachele Bossi, nella lettera del 18 gennaio 2008 inviata all’Autore: «[…]. Ricevuto il Suo volume Novant’anni, lo leggo a poco a poco e vi trovo tanta sapienza, tanta finezza d’animo, tanta generosità e tanta fede. Lei non ha dimenticato nessun momento della vita; ha saputo gustare, osservare ed apprezzare ogni aspetto dell’esistenza: la religiosità, l’amore della Natura, i ricordi della famiglia; ha saputo cantare le onde, le foglie, i tramonti, gli ambienti più diversi. Da tutto ha saputo tradurre ed esprimere i Suoi pensieri, le Sue riflessioni, le sorprese e le commozioni. E tutto diventa ‘preludio di nuovi sogni’, perché un sogno sfocia in un altro e, quasi per incanto, diventa realtà. […]».


«L’eco di Bergamo» dell’11 marzo 2008: «[…] Attilio De Giuli non smette di credere nell’uomo. E’ questo il tema centrale, il tratto più affascinante della sua poesia, l’uomo ritratto nelle sue debolezze e perfezioni. Ed è proprio la fiducia nell’essere umano il motore che ancora oggi fa brillare il suo spirito poetico nella casa che lo ha visto crescere. A spiegare il senso profondo di questa antologia, voluta dallo stesso Autore per celebrare il 90° compleanno, è l’amico, prof. Antonino Fedele: In tempi come i nostri in cui sembrerebbe che i veri valori della vita abbiano perduto la loro identità, i novant’anni di vita di un uomo che ha in sé tutti i caratteri del poeta autentico evidentemente non possono non suscitare un interesse che va ben al di là della semplice curiosità. Un interesse che sfocia in un’intima ammirazione per una mente estremamente moderna, che difende le nuove generazioni e lancia un messaggio di speranza. […]».


«La Provincia» del 6 maggio 2008: «Il Lyceum Club International, presieduto dalla prof. Laura Ruffini, ha organizzato per oggi [a Cremona] uno speciale incontro tutto dedicato alla poesia. [La sede provinciale di Cremona del] Club, che non di rado cura incontri culturali, ha invitato il poeta Attilio De Giuli a presentare i propri componimenti raccolti nel libro Novant’anni, davanti alla platea del Lyceum. L’incontro si terrà oggi pomeriggio alle ore 17,30 nella sala conferenze del Palazzo Cattaneo. Alla presentazione prenderanno parte Antonino Fedele e la poetessa cremonese Giorgia Cipelli».


«La Voce del Popolo» del 30 maggio 2008 da un passo della Prefazione di Pietro Gibellini (con fotografia della copertina del libro): Attilio De Giuli ha una concezione poetica della vita, e sente la poesia della vita, perciò persegue da molti anni con fedeltà una scrittura che (…) vuole essere specchio della sua intensità sentimentale e strumento di proposte etiche ed emotive, per richiamare i lettori a quei ‘buoni sentimenti’ poggiati su solidi valori che oggi sembrano sopiti. […].


prof. Ferruccio Monterosso, dell’Università degli Studi di Pavia, critico letterario, nella lettera del 24 giugno 2008 inviata all’Autore: «[…] Un pregio della Sua Poesia (con la “P” maiuscola) è la capacità di rendere concetti profondi in uno stile limpido, anzi cristallino: idee impegnative e, direi quasi, anche complesse, fluiscono in amabile colloquialità, in un linguaggio terso e discorsivo. Esplicita è la visione radicalmente pessimistica (“Mondo che crolla”, “guerre e violenze”, “pauroso deserto d’amore”, ecc.) che Lei ha della realtà contemporanea, e che io condivido del tutto. Ma è altrettanto vero che la cruda amarezza, con cui Lei denuncia l’assenza di valori e la carenza di eticità, oggi, ahimè, dominanti, è temperata dalla Fede con cui Lei si rivolge al “Padre Santo”, devotamente pregato. Nei Suoi versi non ci sono compiacimenti estetici (o, peggio, estetizzanti), ma – invece – una intemerata coscienza morale, la quale, nonostante il fosco panorama propostoci dalla pseudo-civiltà contemporanea, ci fa, per fortuna, intravedere spiragli di sbocchi redentivi».


«Giornale di Brescia» del 26 giugno 2008: «[…] Per scrivere le sue poesie il poeta lenese si affida spesso ai ricordi e alla natura, ‘fedele compagna’. Componimenti che possono aggregarsi in sezioni tematiche richiamate da quelle del volume, definito, appunto ‘esalogia’: il palpito dell’amore, la contemplazione del paesaggio, l’interrogativo esistenziale, l’esperienza della guerra, la catena dei ricordi, come le definisce Gibellini nella sua Prefazione. […]».


«Bresciaoggi» del 4 ottobre 2008: «Novant’anni di poesia racchiusi in un libro che verrà presentato stamattina alle 11all’Istituto Tecnico «Einaudi» di Chiari. Si tratta del lavoro di Attilio De Giuli «Novant’anni». L’opera, oltre che dall’autore, sarà presentata dal prof. Antonino Fedele e dall’assessore alla cultura avv. Fausto Consoli. […]. La lettura dei testi è affidata alle Librellule (sic!) di Chiari, ossia a Chiara Lorenzi e Francesca Ontini».


Giorgia Meloni, Ministro della Gioventù, nella lettera del 10 novembre 2008 inviata all’Autore: «[…] Solo una persona come Lei, che ha avuto così tante ed entusiasmanti esperienze nella Sua vita e che ha lavorato a lungo con i ragazzi, poteva avere la sensibità e la perspicacia di formulare considerazioni così giuste nei confronti dei Suoi “coetanei”: i giovani sono assetati di veri ideali, checchè ne dicano alcuni mass-media. Sono certa che i ragazzi che hanno avuto la fortuna di averLa come insegnante, custodiscono tra le ricchezze più preziose della loro vita gli anni trascorsi con Lei. Appena ne avrò l’occasione leggerò con attenzione le Sue poesie. Da quelle che ho già letto si respira il Suo amore per la Sua terra d’origine e per l’Italia, oltre all’intenso ma delicato sentimento religioso. […]».






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