Antonino Fedele


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All'alba vincerò?

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Eufemio Montaspro, All'alba vincerò?

Editore: BookSprint
Pubblicazione: Buccino (SA), 2010
Descrizione fisica: p. 194.; cm. 15x21.50
ISBN: 9788896344743
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PRESENTAZIONE INTRODUTTIVA

di Antonino Fedele

«Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio; la si mette sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa».

(Lc., 11,33)

«Contemplata aliis tradere necesse est». (Talvolta è molto importante comunicare agli altri le proprie considerazioni su argomenti di rilevanza fondamentale).

(San Tommaso)


   
Alcuni giorni dopo aver partecipato alle commoventi esequie del compianto prof. Eufemio Montaspro, collega ed amico colendissimo, ho ricevuto una brevissima telefonata con la quale sua figlia Barbara, piuttosto accoratamente ma con il consueto fare molto garbato che la distingue, mi faceva presente che aveva assoluto bisogno di incontrarmi e di parlarmi.
    In verità, data l'amicizia che da molti decenni intercorre tra le nostre famiglie, negli ultimi tempi mia moglie ed io siamo stati molto vicini a lei, alla sua mamma, la cara signora Eleonora, e al carissimo Floriano, specialmente nelle giornate precedenti il tragico evento e durante l'intera cerimonia funebre; però dal loro ineccepibile comportamento non abbiamo avuto affatto modo di rilevare alcunché che ci potesse far presumere quale potrebbe essere il motivo dell'inattesa telefonata. Sapevamo che la scomparsa pressoché repentina del collega avrebbe determinato una situazione non facile da risolvere per la figlia che con la propria famiglia vive nella stessa città, ma in un'abitazione diversa, così come sapevamo del carattere a dir poco bizzarro del genero, peraltro ottimo professionista, ma pensavamo che il tempo da una parte, il buon senso dall'altra e soprattutto lo straordinario attaccamento di Floriano ai suoi nonni materni, sarebbero bastati ad agevolarne la definizione.
    Dico questo perché già da tempo Eufemio in vita di tanto in tanto si intratteneva con me su tale argomento del quale mi parlava con tanta franchezza ma anche con altrettanta apprensione, nella fiducia che io fossi in grado, se non di suggerirgli, almeno di ispirargli qualche idea risolutiva nel senso da lui auspicato. In buona sostanza, egli era molto rammaricato per non riuscire a lasciare ai suoi congiunti una valida indicazione sul nuovo assetto da dare alla famiglia dopo la sua morte che sentiva già molto vicina: da una parte non voleva che la moglie continuasse ad abitare da sola la loro grande casa nella quale sono vissuti insieme per tanti anni, e dall'altra non riteneva probabile che la situazione potesse risolversi con il relativo inserimento nella famiglia dell'unica figlia, giacché il rapporto tra il genero e i suoceri (più con il suocero), seppure contenuto entro i limiti della normalità, non ha mai rivestito i caratteri dell'eccellenza che, invece, ad onor del vero, entrambi quei suoceri avrebbero meritato.
    Ad ogni modo Barbara all'appuntamento che mi aveva chiesto e che io molto volentieri, anche se con una certa apprensione, le avevo accordato per telefono, è giunta puntualissima. Una volta in casa, ha abbracciato mia moglie e me con tale affettuosità e tale calore umano da metterci entrambi quasi a disagio. Però, dopo i primi convenevoli del caso, mia moglie, che sapeva di quell'incontro, con molto tatto ha chiesto di potersi allontanare con la scusa di andare a preparare la cena, per cui ci ha lasciati opportunamente soli nello studio.
    A questo punto io mi sono seduto nei pressi della mia scrivania e nel contempo ho invitato Barbara ad accomodarsi sulla poltrona che si trovava di fronte in modo che potessimo parlare più agevolmente ed in tutta tranquillità. Decisa, come era solita fare sempre nelle sue cose, neanche questa volta ha dimostrato alcun bisogno di ricorrere a preamboli di sorta, ma è subito entrata in medias res.
    Ciò di cui le premeva parlarmi era rappresentato esattamente da un plico di una ventina di lettere che le aveva inviato suo padre nell'ultimo anno di vita e che lei, oltre a tenerle ben conservate e custodite molto gelosamente soprattutto nella sua mente e nel suo cuore, in quel momento stava tirando fuori dalla borsetta che aveva poggiata sulle ginocchia. In effetti, la malcelata sintonia che legava il suo sentire a quello del padre, con il quale, però, non era mai esistito un rapporto di tipo epistolare, era quanto mai evidente ed a me, peraltro, del tutto nota. Ma cosa aveva spinto quell'uomo a ricorrere a tale mezzo per comunicare con la figlia? Indubbiamente da una parte non poteva che essere stata determinante la natura degli argomenti su cui era sua urgente intenzione intrattenerla e dall'altra l'impossibilità materiale da parte di lei di dedicare alcun tempo ad incontri personali con lui perché impedita dai numerosissimi impegni quotidiani d'ordine sia familiare che professionale, oltre che dalle gravissime preoccupazioni di vario genere che con ritmo ossessionante tuttora continuavano a gravare sulle spalle di quella cara figliola.
    Nell'occasione, da parte mia non ho ritenuto opportuno soffermarmi più di tanto con lei, per cui, intuite quali erano le sue intenzioni e soprattutto preso atto dello spirito che aveva animato l'intenso discorso che, seppur brevemente, mi aveva fatto al riguardo, al fine di toglierla dall'evidente stato di imbarazzo l'ho pregata di lasciarmi per un minimo di tempo l'intero plico perché mi potessi rendere conto almeno di cosa si trattasse.
    Lei ha subito detto che era proprio ciò che stava per fare, ma non prima di avermi esternato singhiozzante tutto il rammarico che aveva in corpo per non aver mai avuto il coraggio di dire a suo padre mentre era in vita: "Papà, ho avuto sempre tanta stima di te anche perché so che i tuoi meriti nei confronti del mondo intero sono tanti; perdonami se neanche io, cocciuta come sono, te l'ho mai esplicitamente detto, ma ti sono cordialmente molto grata per quanto hai fatto per tutti noi e soprattutto sappi che ti voglio tanto, tanto, ma tanto bene!".
    Nel tempo stesso, seppure a malincuore, mi ha voluto confidare che da quasi un quindicennio a questa parte il rapporto tra i suoi genitori purtroppo si era alquanto sfilacciato e che questo la faceva soffrire moltissimo anche perché la costringeva a pensare a quanto ciò avrà influito negativamente sullo stato di salute di entrambi e quindi anche sulla dipartita quasi repentina del suo amato papà.
    In sua presenza mi sono guardato bene dal significarle che in qualche misura la notizia non mi stupiva più di tanto, ma, in verità, anche di questo l'amico Eufemio mi aveva parlato a lungo, non per informarmi come si trattasse di un comunissimo fatto di cronaca, ma perché non riusciva a trattenere tutta l'amarezza che provava per non essersi saputo mai spiegare sul piano razionale il comportamento della moglie o, almeno, quali potessero essere in concreto le vere ragioni che la moglie con una certa malcelata protervia già da tempo gli andava opponendo per le manchevolezze, pur immancabili e mai unidirezionali in una lunga vita di coppia, delle quali lo riteneva responsabile. Lì per lì ho cercato di rincuorarla come meglio ho potuto minimizzando il più possibile i termini della vicenda, ma le sue innate virtù intellettive e la sua squisita sensibilità mi hanno subito esonerato dal dover procedere oltre.
    Peraltro, prima di chiudere l'incontro, ha soggiunto che in ultima analisi era venuta perché intendeva chiedermi esplicitamente che fossi io, l'amico più caro del suo amato papà, a curare la pubblicazione integrale di quelle lettere, giacché quello di renderle di pubblica ragione era un impegno che aveva preso con se stessa nei confronti del padre. A suo avviso, infatti, si trattava di testi che, seppur caratterizzati da un'evidente sorta di estemporaneità, se pubblicati avrebbero tanto da dire ai lettori del nostro tempo e che, pertanto, non meritavano di fare l'indegna fine di ammuffire in un cassetto. Nel tempo stesso, quale unica destinataria delle lettere, ha completato il discorso autorizzandomi ad apportarvi tutte le modificazioni e le annotazioni che avessi ritenuto opportune, e sollevandomi sin da quel momento da ogni e da qualsiasi responsabilità nei confronti di chiunque in merito dovesse avanzare obiezioni o accampare pretese di alcun genere.
    Barbara avrà letto e riletto cento volte quelle lettere e di sicuro sulle varie tematiche ivi trattate o accennate forse qualche volta si sarà intrattenuta anche di persona con suo padre, per cui c'era da ritenere che a ciò che mi stava chiedendo aveva pensato non poco prima di parlarmene.
    Dopo avere confermato ciò che mi aveva appena detto, ottenuta la mia disponibilità, seppure da me espressa con riserva, a fare quanto era venuta a chiedermi, si è subito alzata in piedi, mi ha consegnato il plico, mi ha ringraziato ed abbracciato molto affettuosamente come avrebbe fatto con il suo stesso papà e si è avviata verso la cucina per salutare mia moglie. Io l'ho seguita ed insieme l'abbiamo calorosamente pregata di fermarsi a cena con noi, ma ogni nostra insistenza è stata inutile anche perché lei comprensibilmente, essendo già sera, non avrebbe potuto soprassedere all'adempimento dei suoi doveri di madre, di figlia e di moglie non avendo, tra l'altro, preavvisato alcuno dei suoi, tant'è che, continuando a scusarsi tanto, si è avviata in gran fretta verso l'uscita.
    A me erano ben noti il senso di equilibrio, il bagaglio culturale, le capacità professionali e le altissime qualità umane di Barbara, così come, peraltro, ben nota mi era in tutta la sua interezza la gigantesca figura culturale, professionale ed umana, mai ostentata, di suo padre, i cui contorni ormai si stagliavano netti nel cielo infinito, nuova dimora della sua anima. Ciò nondimeno devo ammettere che lì per lì non vedevo l'ora di aprire quel plico e di leggere una a una quelle lettere: da parte mia era tale l'ansia di trovarvi la conferma di quanto non ho mai dubitato sulla statura del loro Autore, il mio amico Eufemio, che non è più con noi ma che da lassù ora più che mai è in grado di guidare i passi dei suoi cari, in particolare del giovane Floriano, il suo amatissimo nipote, e di noi tutti che ci attardiamo su questa terra a nostra volta in attesa della chiamata.
    Quella sera, infatti, a tavola insolitamente mi sono trattenuto il meno possibile; poi, senza che mia moglie me ne chiedesse il motivo, mi sono recato in studio e, con mano quasi tremante, ho subito proceduto all'apertura del plico. Oh, che aureo scrigno si è rivelato essere quel plico! Oh, che gioielli di gran valore ho avuto la fortuna di trovarvi dentro! In quel momento davvero mi è sembrato di assistere ad una vera e propria deflagrazione dalla quale, quasi fossero fuochi d'artificio, fuoruscivano innumerevoli schegge di grande saggezza propositiva e di autentica fede. Barbara aveva proprio di che custodire gelosamente quel plico, mentre a me altro non stava sembrando che di annaspare indegnamente nel bel mezzo di un reliquiario. Pertanto, per non lasciarmi prendere dalla commozione e non essere troppo scortese con mia moglie che avevo lasciato sola, ho subito messo da parte il tutto ed ho rinviato all'indomani il proposito di una lettura più serena, completa ed approfondita.
    Quando ho ripreso in mano quelle lettere e le ho lette con la dovuta attenzione, ho fatto presto a rendermi conto della loro ragion d'essere, nel senso che ho capito esattamente quanto Eufemio si riprometteva di fare ed il motivo che lo aveva spinto a farlo attraverso quel particolare mezzo di comunicazione, senza dubbio molto efficace anche se poco usuale, tra un padre ed una figlia. Tenuto conto della rilevanza delle tematiche da lui toccate in quelle pagine non posso non condividere con Barbara il convincimento che vale proprio la pena proporle all'attenzione dei lettori giacché davvero esse hanno tanto da dire a tutti gli uomini di buona volontà.
    In verità pregiudizialmente non nutrivo alcun dubbio sull'onestà intellettuale e sulla caratura del nobile sentire del loro Autore ma, ora che le ho letto di persona, devo ammettere che, come giustamente affermava Barbara, la relativa lettura può rivelarsi provvidenziale per molti di noi, me compreso, che perdiamo troppo tempo ad annaspare tra interessi della cui caducità caparbiamente non ci vogliamo rendere conto, mentre sarebbe bene soffermarci sugli aspetti ben più importanti della vita di cui il Buon Dio gratuitamente e soltanto per amore ci ha ricolmati.
    Pertanto, mi sono limitato a munirle di qualche annotazione di carattere esclusivamente informativo che ho ritenuto opportuno riportare a piè di pagina per maggiore comodità dei lettori. Ora è con vero piacere che ho l'onore di curare per il pubblico la presentazione del relativo testo integrale, nella fiducia di fare cosa gradita a Barbara, che me ne ha fatto motivata richiesta, ed a quanti vorranno compiacersi di leggerlo con la pazienza che esso richiede. Nel medesimo tempo sono altresì felice di assecondare l'Autore, così come Egli stesso, scrivendo alla figlia, auspicava che si facesse, cioè darne pubblica ragione secondo l'esatto significato delle citazioni riportate nell'esergo che, non senza motivo, aveva già predisposto e che ora io, ritenendolo addirittura paradigmatico, nel salutare con doveroso rispetto i benevoli lettori, riproduco a margine di questa modesta ma doverosa premessa introduttiva.

    Brescia, 24 dicembre 2008



N.B. – Su questo lavoro hanno scritto:

«La Voce del Popolo» del 6 agosto 2010: «[ ... ] E' proprio questo il fascino di questo libro: [l'Autore], prendendo lo spunto da una citazione, o da un fatto di cronaca, o da una questione etica dibattuta, affronta i grandi perché della vita, le grandi questioni dell'uomo, morte compresa: quelle che interessano il credente e il non credente. E nello stile epistolare e colloquiale [egli] segue una metodologia oggi di grande interesse: prende in considerazione il pensiero cristiano senza misconoscere quello laico: non per fare un braccio di ferro ideologico, ma per dare spessore di pensosità alla fede»

Inseg. Francesco PERROTTA, nella lettera inviata al presentatore il 18 agosto 2010: «[ ... ] Ho incominciato a leggere il libro con tanto entusiasmo, l'ho terminato in lacrime, lacrime di commozione naturalmente. Che dire? Ho assistito ad una lezione di vita non solo da un padre ad una figlia, non solo da un professore ad una scolaresca, ma da un 'super-docente' all'intera umanità. Trovo inutile analizzare per andare in cerca di un argomento che mi abbia colpito di più perché tutto è avvincente, tutto è impegnativo, tutto è interessante, in una parola tutto è meraviglioso! [ ... ] »

Prof. Andrea BAREZZANI, docente emerito di materie letterarie e latino nei licei di Stato, nella mail del 5 marzo 2011 indirizzata al Presentatore dell'opera: «Nelle pagine di All'alba vincerò'?, con lo stile colloquiale di un epistolario indirizzato alla figlia, l’Autore riesamina l'intera sua esistenza, alla luce di una realtà superiore che ridimensiona sentimenti e passioni e conduce alla Fede, che tutto fa comprendere, accettare ed amare.Questo libro è un testamento non scritto per la ristretta cerchia di pochi intimi, ma per tutti coloro che hanno conosciuto da vicino il suo Autore, per chi vuole trovare una guida nella difficoltà e nell'angoscia che deriva dalla condizione umana. Peraltro, nella letteratura italiana c'è una tradizione, che risale al Guicciardini, di lasciare in eredità alla famiglia non tanto beni materiali, che possono generare discordia e gelosia, ma quelli che suscitano partecipazione ed amore, che sono, appunto, i sentimenti spirituali. Pregevoli le riflessioni sulla società e le sue istituzioni, in particolare sulla scuola, dove si nota l'interesse di chi è consapevole di avere dedicato ad essa la parte migliore della sua vita. Lo stile è sorvegliato e quasi distaccato, anche nei momenti più toccanti delle vicende narrate. La commozione è lasciata a chi legge, il narratore rimane al suo ruolo e, in un certo senso, si limita ad osservare l'effetto delle sue parole sugli altri».









































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